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Donne Partigiane – Clelia Corradini (1903 – 24 agosto 1944)

Clelia Corradini (Jvanka): donna, madre, partigiana coraggiosa – 24 agosto 1944 Clelia Corradini fece parte di quel gruppo di partigiane della libertà che seppero dimostrarele loro innate qualità di coraggio, di fermezza d’animo, di spirito di sacrificio nel tormentato e convulso periodo della lotta di liberazione. Donne semplici, per lo più operaie, casalinghe, contadine, infermiere, tutte però animate da un forte senso antifascista e dal desiderio di cambiare la società. “Ciò che esse hanno fatto, scriveva P.Togliatti, e soprattutto il grande numero di queste combattenti, è cosa così nuova che perfino sorprende: vuol dire che per questo popolo è veramente spuntata l’aurora di un grande rinnovamento”. In provincia di Savona numerose donne appoggiarono in modo determinate l’attività dei partigiani, diverse svolsero un ruolo importante senza impugnare il fucile, qualcuna purtroppo venne stroncata impietosamente dalla ferocia nazifascista. Il loro ruolo era principalmente quello di tenere i collegamenti con i vari distaccamenti partigiani, di fornire loro cibo, indumenti, medicine. Durante i rastrellamenti li nascondevano, infondevano loro coraggio, spesso si adoperavano per convincere i giovani militi della San Marco ad unirsi alle forze partigiane. Clelia Corradini figura tra queste donne: animatrice insostenibile del movimento partigiano, fiera responsabile del Gruppo di Difesa delle Donne, militante attiva nella lotta di resistenza con al fianco il figlio in montagna. Aveva sempre manifestato il suo dissenso contro la guerra e contro le ingiustizie sociali. Tali idee le derivavano dall’appartenenza ad una famiglia antifascista e dalla sua estrazione operaia. Nata a Vado Ligure nel 1903, aveva frequentato le scuole elementari e due anni di
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Clelia Corradini
Avviamento al lavoro: poi le condizioni precarie della vita l’avevano subito introdotta nel mondo del lavoro. Si sposò giovane con Riccardo Leti, assieme al quale maturò presto avversione al Fascio, anche se questo procurò loro difficoltà nella ricerca del lavoro, sacrificio per portare avanti la famiglia, logoramento prematuro del fisico di Riccardo che morì all’età di 36 anni. Clelia Corradini rimase vedova con tre figli in giovane età: Sergio di 11 anni, Lucio di 7 e Elda di 5 anni. Per ottenere un lavoro lottò contro le angherie dei fascisti e contro coloro che si rendevano correi delle ingiustizie sociali. Per questo non esitò a protestare nei modi più vari, attaccandosi anche per disperazione all’inferriata della finestra del Comune, nonostante venisse colpita più volte alle mani dal maresciallo dei Carabinieri con l’elsa della spada. Ciò accadeva nel 1938-39, negli anni nei quali in Italia il regime fascista aveva accolto le famigerate leggi razziali con le quali la caccia agli ebrei diventava un obbligo di legge. Per la verità questo servì anche da alibi alla milizia fascista per infastidire le famiglie con vaghe ascendenze ebree. A Vado Ligure, infatti, i fascisti non si erano limitati a dare la caccia agli ebrei schedati: molte famiglie venivano infastidite dai Carabinieri per “presunti contatti” con famiglie ebree. La famiglia Leti, forse fraintesa con quella di Levi, venne molte volte fatta oggetto di fastidiose perquisizioni. Clelia Corradini per le sue idee contro la guerra fu denunciata per propaganda sovversiva, all’inizio della IIª guerra mondiale e in seguito anche minacciata di essere inviata ad un anno di confino. Chiamata a lavorare nella Vacuum Oil Company per un certo periodo venne lasciata tranquilla, poi, benché fosse stimata come lavoratrice, avendo denunciato i soprusi del regime, fu trasferita in un’altra raffineria.Erano i tempi nei quali Clelia Corradini aveva iniziato ad avere contatti con la resistenza partigiana. In seguito ad un bombardamento, trovandosi nei pressi del Brandale a Savona, fu coinvolta in una retata e venne arrestata: Clelia a Savona era accorsa per avere notizie della famiglia della sorella e, forse per i disastri che la guerra stava producendo, aveva inveito contro coloro che l’avevano voluta. Rinchiusa nella caserma della milizia di Corso Ricci vi rimase per qualche giorno, ma nulla di questo fu dato sapere alla famiglia. Dopo l’8 settembre del 1943 Clelia Corradini fu introdotta nella costituzione dei gruppi di Difesa della Donna da Teresa Viberti Grillo. La nota attivista italo francese aveva partecipato alla formazione dei gruppi Pro Spagna con le compagne spagnole durante la guerra di Spagna contro il generalissimo Franco e negli anni 1942-’43 per motivi di famiglia era venuta in Italia, prima a Firenze per assistere il marito e poi a Savona nella casa paterna col figlioletto di 11 anni. Nell’ottobre del ’43 ebbe un contatto presso il Garbasso con Carlo Aschero, col quale parlò dei gruppi da costituire. Aschero capì subito l’importanza della cosa e diede incarico a Teresa Viberti Grillo di costituire i gruppi di Difesa della Donna sul modello di quelli spagnoli. Il primo nome che indicò fu quello di Clelia Corradini di Vado. Seguirono quindi i primi contatti fra di loro con buoni risultati. Scriverà Teresa Viberti in seguito della Corradini dopo aver-Le esposto il progetto con cautela “elemento entusiasta, serio, conscio del pericolo, ma niente affatto intimorita. Il figlio è già in montagna”. Sul territorio di Vado Ligure Clelia Corradini per diversi mesi contattò le donne più sicure , mise in piedi l’organizzazione, coordinò fondi per i partigiani, diffuse materiale propagandistico specie in occasione di scioperi. Fu proprio durante la raccolta di fondi che la Corradini incrociò il suo triste destino. Una signora anziana non potendo consegnare i fondi a Clelia li affidò sbadatamente ad una vicina, compagna di scuola di Sergio, ma purtroppo anche confidente della polizia. Questa non si fece scrupolo di andare alla milizia fascista per denunciare il fatto. La polizia e i carabinieri già da tempo seguivano Clelia Corradini, ma ancora non avevano in mano una prova eloquente del suo coinvolgimento con il movimento partigiano: ora, a seguito della denuncia, potevano stringere il cerchio, tanto più che sapevano che il figlio era salito in montagna. Dopo poco tempo la Corradini venne arrestata, poi trasferita “su una carretta militare” al Comando di Quiliano, e infine rimandata a quello di Vado Ligure ubicato nella villa Morixe. Qui subì minacce, sevizie e torture per poterLe strappare i nomi delle sue compagne e dei suoi compagni. Il 23 agosto fu decisa la sua condanna a morte. Il mattino seguente le spianarono 4 volte i fucili contro; per 3 volte i soldati si rifiutarono di far fuoco, finché all’ultimo l’ufficiale dei San Marco scaricò, per finirla, una raffica di mitra. Le ultime parole di Clelia furono: “Sergio vendicami”. Clelia prima dell’arresto aveva mandato al figlio Sergio una lettera, che però gli venne consegnata insieme alla notizia della sua morte. “Mio caro S.(ergio) scrivo male perché appoggio la carta sulle ginocchia dal rifugio dove per ora è la nostra dimora. Ma spero sia forse per pochi giorni e poi sono certa tornerà quella pace di cui abbiamo bisogno. Sono certa che verrà presto il giorno che ti rivedrò per non più lasciarci e dopo tante sofferenze godere un meritato sollievo. Abbiamo passato dei momenti tristi, ma spero siano gli ultimi. Mi chiedi lo zaino, ma non l’ho trovato. La casa è tutta sotto sopra, ti mando la blusa soltanto. Ti bacio a nome di tutti, ti ricordano con tanto affetto. Saluta il biondo da parte di sua mamma se questi è con te. Ti bacio affettuosamente Mamma tua” Fonte “La Resistenza Vadese” di Almerino Lunardon

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