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Un servo dei Nazisti. Come Almirante collaborava con gli occupanti tedeschi

Nel 1978 Giorgio Almirante uscì sconfitto dal processo penale per il reato di diffamazione a mezzo stampa contro Carlo Ricchini, perché fu dimostrata l’autenticità della sua firma nel manifesto che annunciava la condanna a morte per renitenti alla leva e disertori nel maggio del 1944.

Nell’estate del 1971 alcuni storici dell`Università di Pisa rinvennero negli archivi del comune di Massa Marittima la copia anastatica di un manifesto diffuso in provincia di Grosseto nel maggio 1944 con il quale il governo della Repubblica Sociale Italiana annunciava che i renitenti alla leva e i disertori sarebbero stati condannati a morte mediante fucilazione. Il manifesto era firmato da Giorgio Almirante nella sua veste di funzionario del ministero della Cultura Popolare e venne pubblicato il 27 giugno 1971 dal quotidiano l`Unità col titolo: “Un servo dei Nazisti. Come Almirante collaborava con gli occupanti tedeschi”. Alcuni giorni dopo lo pubblicò anche Il Manifesto.

Almirante, sentitosi diffamato, querelò immediatamente l’allora direttore dell’Unità Carlo Ricchini e la giornalista Luciana Castellina, sostenendo che quel manifesto era un falso costruito ad arte per delegittimarlo. “Non ho mai firmato manifesti o comunicati di tal genere in quel periodo” disse il segretario del Msi “né rientrava nelle mie attribuzioni firmare manifesti a nome del ministro“. Insomma, si trattava di “una vergognosa campagna di stampa“.

Il procedimento giudiziario si tenne a Roma e si trasformò in una autentica disfatta per Almirante. Durante il suo svolgimento, infatti, gli accusati portarono in aula il documento originale recante la firma di Almirante, la lettera della prefettura che accompagnava l`invio del manifesto e un telegramma risalente all`8 maggio 1944 firmato proprio da Almirante con il quale si sollecitava l`affissione del manifesto in tutti i comuni della provincia di Grosseto. Dopo una assoluzione in primo e secondo grado, il procedimento penale si concluse nel maggio 1978 in Cassazione con il definitivo proscioglimento dei due giornalisti e la condanna di Almirante al pagamento delle spese processuali e al risarcimento danni. Ma soprattutto con la inconfutabile dimostrazione che quel manifesto era da attribuire proprio all’allora segretario del Msi. Il pubblico ministero che, in Corte d’Assise, aveva per primo chiesto il proscioglimento per Ricchini e Castellina non poté assistere alla conclusione del processo;  si trattava di Vittorio Occorsio che il 10 giugno 1976, a 47 anni, era stato massacrato a colpi di mitra da un commando di terroristi fascisti.

Nel 2006 Carlo Ricchini ha donato all’Isgrec tutta la documentazione relativa al processo penale per il reato di diffamazione a mezzo stampa, che lo aveva visto protagonista insieme alla collega Luciana Castellina. Il fondo comprende le copie delle sentenze e dell’intero incartamento processuale (tra cui i verbali delle udienze), la ricostruzione del lungo iter processuale fatta dallo stesso Ricchini in vista del progetto della prossima pubblicazione di un libro, la documentazione relativa agli altri processi che in altri tribunali italiani videro allo stesso modo Almirante trasformarsi da querelante in imputato e una nutrita rassegna stampa sulla vicenda.

Fonte – GROSSETOCONTEMPORANEA

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