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L’eccidio del Turchino, 76° anniversario

Cinque settimane prima, c’era stato un grande rastrellamento dei nazi-fascisti impiegando migliaia di uomini, per sradicare la forza partigiana sull’Appennino ligure-piemontese. Dovevano eliminare ogni formazione e terrorizzare le popolazioni che sostenevano la Resistenza.

Ci furono fucilazioni alla Benedicta i 97 fucilati ammassati in una buca, non sono coperti dalla terra; a Passo Mezzano ne trovarono 19, sono sparsi qua e là, alcuni irriconoscibili perché si è infierito sui cadaveri A Voltaggio il 10 aprile sono fucilati in 8. L’11 ne fucilano altri 8 e vanno via e a Masone sono stati trucidati in tredici. Ci sono morti in Praglia, sul monte Vezza e alle Capanne di Marcarolo.
Furono oltre 400 gli uomini avviati alla deportazione ed un gruppo portato nelle carceri per essere interrogati.

Nonostante la strage subita nella Pasqua del ‘44 nacquero nuove formazioni che portavano il nome di un caduto e furono gli stessi partigiani sopravvissuti all’eccidio i protagonisti della ripresa. Dopo poco più di un mese dalla Benedicta avvenne l’Eccidio del Turchino.

La polizia tedesca aveva requisito la IV^ Sezione del carcere di Marassi per usarla solo per i politici.La GNR dipendeva dalle SS che dirigevano tutto dalla casa dello Studente con la GE.STA.PO.

La primavera del ’44 non fu una fase facile per la Resistenza genovese, ci furono molti arresti e finivano a Marassi  per le spiate:

-era crollata una fetta importante della rete cittadina di G.L. a marzo
-uomini dell’organizzazione OTTO presi ai primi di aprile
-il gruppo della Benedicta
-c’erano i renitenti alla leva arrestati per il bando Graziani
-Gruppi di operai sabotatori presi nelle fabbriche del ponente
-Prigionieri politici trasferiti da Savona

In risposta a quei fatti i GAP colpivano duramente per rispondere ai rastrellamenti, alle torture e per ridare coraggio alla popolazione. La loro azioni terrorizzavano i nazi-fascisti, obbligandoli anche a tenere molte truppe in città, distogliendole dalla caccia ai ribelli dei monti e dar loro modo di riorganizzarsi dopo le stragi dell’inverno e i rastrellamenti della primavera.

I tedeschi, perciò, adibirono alcuni locali solo per loro la truppa. Così è stato per il cinema Odeon di via Vernazza, con l’ingresso riservato ai militari tedeschi, ed un controllo all’entrata. Il comando GAP, riunito a Spd, decide di colpirlo. Un partigiano biondo, “in perfetto stile ariano”, indossa una divisa da ufficiale tedesco entra al cinema con una borsa. Vede un po’ di film in lingua tedesca, accende la miccia e se ne va. Dopo pochi minuti un’esplosione provoca 4 morti e 16 feriti.

Con quell’azione, i tedeschi sanno che non sono più sicuri non solo in periferia ma anche in centro città.
E reagiscono subito… in modo duro e spietato. Mettono una taglia di 3 MLN di lire sui terroristi
Su disposizione del comando della Werhmacht in Italia (di Kesserling), della GHESTAPO, delle SS e d’accordo coi fascisti, decidono la rappresaglia: “dieci italiani per un Tedesco” come è stato a Roma per via Rasella, così 335 italiani sono stati uccisi alle fosse Ardeatine.

L’esecuzione è fissata per il 19 maggio.

Per non incorrere nella convenzione di Ginevra, che vieta l’omicidio di persone non andate in giudicato o in ostaggio, mandano un comunicato ai giornali e da affiggere sui muri di Genova. Scrivono il falso, dicendo che sono stati tutti condannati a morte da un tribunale di guerra perché ribelli o presi con le armi in mano, perché comunisti o trovati con esplosivi.

La mattina del 17 maggio, alle cinque, un camion scortato dalle SS, porta una squadra di Ebrei, qui, 16 uomini (tra loro ci sono Gabriele e Giulio Iona, padre e figlio di Chiavari) e li fanno scavare una grande fossa. Chi scava la sera avrà le mani tutte sanguinanti, ma non basta, i tedeschi li prendono a legnate sulla schiena, che in poco tempo si è trasforma in un’unica piaga.
I contadini, si accorgono del movimento, si avvicinano ma sono tenuti a distanza per non fare loro vedere nulla.

La sera gli ebrei tornano a Marassi e sono rinchiusi insieme per non potere raccontare niente a nessuno. Il giorno dopo sono mandati a Fossoli e finiscono ad Auschwitz il 26 maggio. E lì che che il 30 dello stesso mese. Gabriele Jona, che aveva 62 anni, viene inviato subito alla camera a gas, Giulio il figlio, muore in data ignota (tutto questo lo sappiamo per dei fogli scritti che loro hanno lasciato nascosti dentro il carcere).

Ma torniamo al Turchino…. All’alba del 19 maggio, verso le 3 del mattino vengono chiamati ad uno ad uno, nome e cognome e numero di matricola cominciano dal 535 e si fermano al 594. E viene detto loro “non prendete le vostre cose, ci pensiamo noi a farvele avere “… capiscono così la loro condanna a morte.
Tra loro dopo oltre un mese di torture alla Casa dello Studente, con altri 42 prigionieri politici, diciassette partigiani, autonomi e Garibaldini, catturati nei giorni di rastrellamento della Benedicta. Vi sono anche i due comandanti della “Alessandria” Odino e Pestarino e con loro Walter Ulanowski. Sono fatti salire su due autobus e scortati da SS e fanti di marina tedeschi, sempre accompagnati dai fascisti partono. Sono circa 200 che li scortano.

Dalla galleria sono fatti scendere e viene usata una camionetta come navetta. Dalla strada, a piedi, legati in due, sono fatti salire dal sentiero sino alla fonte. Mano a mano che arrivavano sul ciglio della fossa vengono assassinati con un colpo alla nuca. Durante il massacro, che è durato circa un’ora, i tedeschi si ubriacarono.

Quando fu tutto finito fecero rotolare un grande masso sulla fossa, poi tutti si sono seduti intorno e hanno ancora bevuto e mangiato.

Ripresero la strada del ritorno cantando.

Ai parenti non viene detto nulla per due giorni, anzi in carcere continuano ad accettare i pacchi di vestiario pulito e qualcosa da mangiare. Poi i pacchi sono rifiutati ai parenti delle vittime si dice che li hanno portati in Germania, ma nel frattempo alcuni operai di Masone e da Mele scendono in città per andare al lavoro nelle fabbriche, raccontano di quel posto dove i contadini sono stati tenuti lontani e della strada del Turchino tenuta chiusa dai tedeschi per tante ore la prima mattina del 19 maggio.

Di notte una squadra delle Gap di Sampierdarena va a cercare tra i monti, la mattina del 23 alcuni parenti dei fucilati, molte madri e il padre di Ulanowki arrivano col treno sino a Mele, poi salgono a piedi sino quassù. Trovano le tracce del bivacco dopo la strage: scatolame vuoto, carta, bottiglie vuote, tanti bossoli. Si mettono a scavare, emerge una pozza, prima macchiata di terra, poi di sangue e capiscono.

Dopo otto giorni ripartono i parenti da Principe. In stazione incontrano i genitori di Pestarino, loro non vanno perché un gerarca fascista, dando la sua parola d’onore, li ha rassicurati che il figlio è in Germania. Quel giorno cominciano a scavare e ad esumare le salme, verso le undici arrivano anche loro per un brutto presentimento che li ha colti e in quell’istante emerge il primo cadavere, quello di loro figlio Isidoro. Ne estraggono dodici e vedono che sono molti di più, i tedeschi non li lasciano trasportare in città e devono così rimandare tutto alla fine della guerra. Da quel giorno, nonostante le minacce tedesche, iniziò un pellegrinaggio infinito.

Papà Ulanowki, nel deposito locomotori di Rivarolo dove lavorava, costruì, aiutato dai ferrovieri suoi compagni di lavoro, una croce in alluminio, che smontata a pezzi fu fatta passare attraverso i controlli tedeschi e montata qua sopra. Molti non sapevano ancora della morte dei loro famigliari, per 12 è rimasta ignota l’identità.

A giugno del 1945 furono esumate le salme e trasportate a Genova in un omaggio di popolo enorme. Dal colle del Turchino sino in città due ali di folla che, in silenzio, accompagnavano quel corteo, lanciando dei fiori verso le bare che erano scortate dalle formazioni partigiane con le loro bandiere. Molti furono sepolti a Staglieno, alcuni nei paesi d’origine, un gruppo nella cripta del romitorio di Masone, dove è anche la croce di legno messa da Pestarino padre.

Il sacrario si è inaugurato il 25 aprile 1956, sopra l’altare è rappresentata la madonna nera di Częstochowa che rappresenta la fratellanza tra il popolo polacco e quello italiano ed è un omaggio a tutti i combattenti stranieri. Le 22 urne che contengono la terra di tutti i luoghi dove i liguri sono morti per la libertà sono state offerte dai lavoratori dell’Ansaldo Lo ha sempre tenuto in ordine il papà di Ulanowski e voglio ricordare dopo di lui un partigiano che fino all’ultimo lo ha curato Giovanni Patrone. Oggi dobbiamo dire grazie al gruppo della “Squadra 81”, guidato da Quaglia che fa volontariamente i lavori di manutenzione.
Per la strage del Turchino e per quelle della Benedicta, di Portofino e di Cravasco, dove trovarono la morte complessivamente 246 persone, si processò Eghel il colonnello che comandava le SS, il boia di Genova, che fu condannato anche per quanto era successo al Turchino. Testimone in quel processo fu Raimondo Ricci.

Eghel fu condannato all’ergastolo in Italia nel 1999, ma non scontò mai la pena perché il governo tedesco non accettava l’estradizione. Nel 2002, 93enne, Engel è stato processato ad Amburgo e condannato a sette anni di reclusione per crimini di guerra. È morto nel 2006, a 97 anni, senza aver mai fatto un giorno di galera.

Ecco perché ogni anno nel sabato più vicino al 19 maggio andiamo in molti, cittadini, ANPI e Istituzioni, a  ricordare quei 59 uomini che hanno dato la vita per la nostra libertà.

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