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Associazione Nazionale Partigiani d'Italia
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Percorso Azzurro – Tappa 10

Via Bruno Buozzi (targa stradale)
Via Amedeo Lattanzi (targa stradale)

10. Via Bruno Buozzi (targa stradale)

Bruno Buozzi, nato il 31 gennaio 1881 a Pontelagoscuro provincia di Ferrara brutalmente ucciso a Roma il 4 giugno 1944 dalle SS insieme ad altre 13 vittime nell’eccidio de La Storta, è stato un sindacalista, politico, operaio e antifascista italiano.

Costretto a lasciare la scuola dopo le elementari, fece, da ragazzo, il meccanico aggiustatore. Quando si trasferì a Milano, trovò lavoro come operaio specializzato metallurgico alle Officine Marelli e poi alla Bianchi.

Nel 1905 aderì al PSI, militando nella fazione riformista di Turati. Dal 1911 al 1926 fu eletto segretario generale della Federazione italiana operai metallurgici (F.I.O.M.).
Sotto la sua guida fu stipulato nel 1919 il primo contratto nazionale che stabiliva la giornata di otto ore.

Durante la guerra di Spagna (1936-1939), per incarico del suo partito, diresse l’opera d’organizzazione, raccolta e invio di aiuti alla Repubblica democratica attaccata dai franchisti. Alla vigilia dell’occupazione tedesca di Parigi, Buozzi si trasferì a Tours. Lo tradì il comprensibile desiderio di visitare, a Parigi, la figlia partoriente. Nel febbraio del 1941 fu, infatti, arrestato dai tedeschi nella Capitale francese. Rinchiuso dapprima nelle carceri della Santé, fu successivamente trasferito in Germania e, di qui, in Italia dove rimase per dueanni al confino in provincia di Perugia.

Riacquistata la libertà alla caduta del fascismo, ai primi di agosto del 1943, Bruno Buozzi fu nominato dal governo Badoglio, insieme al comunista Giovanni Roveda e al democristiano Gioacchino Quarello, commissario alla Confederazione dei sindacati dell’industria. Durante l’occupazione nazista di Roma, Buozzi trovò ospitalità presso un amico colonnello e, quando questi dovette darsi alla macchia, cercò un altro precario rifugio, dove fu sorpreso dalla polizia. Era il 13 aprile 1944. Fermato per accertamenti e condotto in via Tasso, i fascisti scoprirono la vera identità del sindacalista.

Il CLN di Roma tentò a più riprese, ma senza successo, di organizzarne l’evasione e il 1° giugno 1944, quando gli americani erano ormai alle porte della Capitale, il nome di Bruno Buozzi fu incluso dalla polizia tedesca in un elenco di 160 prigionieri destinati ad essere evacuati da Roma. La sera del 3 giugno, con altri 13 compagni, Buozzi fu caricato su un camion tedesco, che si avviò lungo la via Cassia, ingombra di truppe in ritirata.

In località La Storta, forse per la difficoltà di proseguire, l’automezzo si fermò e i prigionieri furono fatti scendere. Rinchiuso in un fienile per la notte, all’indomani il gruppo fu brutalmente sospinto in una valletta e Bruno Buozzi, sembra per ordine del capitano delle SS Erich Priebke, fu trucidato con tutti i suoi compagni.

Gli storici non sono ancora giunti ad una ricostruzione definitiva di questo eccidio: alcuni suppongono che il camion si sia fermato per un guasto o per un sabotaggio, e che quindi i prigionieri fossero diventati un peso inutile durante la fuga verso il nord; secondo altri, l’ordine di fucilazione era già giunto prima della partenza dell’autocolonna (o giunse più tardi: infatti, alcuni contadini riferirono agli americani di aver visto arrivare una motocicletta tedesca).

I corpi delle vittime de La Storta furono recuperati nei giorni immediatamente successivi all’eccidio, dopo essere stati individuati dagli Alleati su indicazione dei contadini del luogo: le salme furono trasportate a Roma all’Ospedale Santo Spirito per l’autopsia ed il riconoscimento, mentre i funerali si svolsero l’11 giugno nella chiesa del Gesù.

Bruno Buozzi fu poi sepolto al Cimitero del Verano di Roma.

Dopo la Liberazione, a Bruno Buozzi sono state intitolate strade e piazze a Roma e in molte altre città d’Italia. Portano il suo nome anche cooperative, associazioni sportive, scuole. Una Fondazione Bruno Buozzi, che ha tra i suoi compiti quello di incrementare gli studi sul sindacalismo, si è costituita a Roma il 24 gennaio 2003.

10a. Via Amedeo Lattanzi (targa stradale)

Per notizie sul partigiano visita la Tappa 6 del Percorso Azzurro oppure clicca qui:

10b. Via Mura degli Zingari 4r targa in ricordo del tenente dei carabinieri Giuseppe Avezzano Comes (1915-2010)

Targa C/o Officina Deposito Metropolitana AMT intitolata a Giuseppe Avezzano Comes Tenente dei Carabiniere che insieme ai suoi commilitoni si rifiutò di fucilare gli otto Partigiani al Forte San Martino.

La fucilazione del Forte San Martino avviene in risposta diretta all’attentato gappista ai danni di due ufficiali tedeschi avvenuto il giorno precedente (13 gennaio 1944) nella centrale Via XX settembre. Nella notte tra il 13 e il 14, il prefetto di Genova Carlo Emanuele Basile, convoca il Tribunale Militare Speciale che giudica gli otto detenuti con un sommario processo condannandoli alla pena capitale.

Il mattino seguente i condannati sono prelevati dal carcere e portati al forte di San Martino.

Le parole del tenente Comes, riferite all’ordine di esecuzione della pena capitale, nel racconto dei fatti raccolte nel loro “Una città nella Resistenza” di Carlo Brizzolari, furono chiare: “Nelle prime ore del 14 gennaio il comandante della legione dei Carabinieri di Genova mi ordinava, per telefono, di recarmi con un plotone di venti carabinieri al forte di San Martino per eseguire un urgente servizio d’ordine”.

Il racconto del tenente prosegue spiegando dell’attesa di circa un’ora e della chiamata ricevuta dal Console Grimaldi, uno dei colonnelli della milizia fascista, che ordinava di procedere all’esecuzione immediata.

All’ordine impartito, il rifiuto di Comes fu secco e deciso, facendo leva sull’illegittimità di chi lo stava impartendo e contestando la sentenza del Tribunale.

“Nonostante l’intervento di altri ufficiali fascisti e tedeschi che mi minacciavano di processo sommario e di fucilazione sul posto insieme agli altri condannati – raccontò Comes – mantenni fermo il mio atteggiamento di rifiuto; tanto che il Grimaldi dopo avermi accusato di codardia, per mezzo di due tedeschi delle SS mi fece allontanare dai miei uomini e sospingere in una casamatta”.

Dopo il suo allontanamento, Grimaldi fece schierare di spalle al muro gli otto condannati, ordinando lui stesso ai Carabinieri di sparare ma la reazione del plotone fu decisa: armi in alto e colpi sparati verso il cielo.

Il racconto del terribile momento proseguì con la presa di posizione del Grimaldi che, radunando un gruppo di tedeschi e di fascisti, compì in prima persona l’eccidio sparando ai condannati a coppie di due e costringendoli a salire sui corpi dei compagni caduti.

A esecuzione avvenuta, i tedeschi e i fascisti lasciarono la casa e ancora una volta entrò in gioco Comes:

“Qui il tenente riuscì a distruggere la nota di servizio con i nomi dei Carabinieri insieme a lui al Forte, così da evitare rappresaglie nei loro confronti da parte delle SS.

Per intervento del Prefetto Basile venni messo agli arresti e allontanato da Genova.

Successivamente fui sottoposto ad inchiesta formale ed infine arrestato dal comando della Feld Gendarmeria tedesca di Albenga, dal quale fui trattenuto in prigione fino alla liberazione, subendo a mia volta torture e sevizie”.

Vittime decedute:

  • Bellucci Dino,
    nato il 14/12/1911 a Poggibonsi, Siena. Responsabile della stampa clandestina
  • Bertora Giovanni,
    nato l’11/11/1912 a Genova. Tipografo stampatore de “la voce d’Italia” e “Italia libera”
  • Giacalone Giovanni,
    nato il 13/8/1890 a Castelvetrano, Trapani. Membro Cln Genova Staglieno
  • Guglielmetti Romeo,
    nato il 22/1/1909 a Genova. Direzione movimento partigiano Val Bisagno
  • Lattanzi Amedeo,
    nato il 2/6/1889 a Fermo (Ascoli Piceno). Smistamento stampa clandestina
  • Marsano Luigi,
    nato il 16/3/1916 a Genova. Membro Cln del porto
  • Mirolli Guido,
    nato il 7/12/1890 a Siena. Membro Cln Genova San Fruttuoso
  • Veronelli Giovanni,
    nato il 28/2/1886 a Sesto Fiorentino, Firenze. Antifascista: partecipa alla Guerra di Spagna e viene confinato a Ventotene. Si unisce ai Gap.


Avezzano Comes motivò così, negli anni, il suo gesto di disobbedienza: “Mi vennero alla mente 140 anni di storia dell’Arma e decisi di non obbedire all’ordine perché lo ritenevo illegittimo”.