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“Il prodotto del pregiudizio, dell’odio, dell’indifferenza” Incontro con la Senatrice Liliana Segre

Per quello che sei e non per quello che fai

“…In quel momento mio padre parlò: «Liliana, sai che non puoi più andare a scuola…».
«Ah, no?» gli dissi io cercando un perché con gli occhi smarriti. Lui lo capì.
«Perché ci sono delle nuove leggi per noi che siamo ebrei. Tu, come tutti i bambini ebrei, sei stata espulsa dalla scuola.»
Espulsa. Avevo appena compiuto otto anni, era settembre e la scuola cominciava il 12 ottobre.
Quel giorno segnò un prima e un dopo nella mia infanzia. Il prima della vita di Liliana bambina, allegra e serena, e il dopo, di Liliana bambina ebrea, espulsa, poi esclusa, poi internata.”
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“Quando passavo con papà vicino alla scuola di via Fratelli Ruffini che avevo frequentato per tanto tempo, vedevo le amiche che andavano ancora lì. Non era cambiato niente per loro. Si salutavano qualche minuto prima di entrare, aspettavano di sentire la campanella, ridevano e scherzavano come sempre. Che strano, solo per me era cambiato tutto.
Se mi vedevano, mi indicavano con il dito e dicevano: «Quella lì è la Segre, non può più venire a scuola perché è ebrea». E basta. Liliana non esisteva più. Fino a un mese prima facevamo i compiti insieme, ridevamo delle cose buffe e ci divertivamo. A parte tre bambine che rimasero mie amiche, Giuliana, Maura e Tilde, tutte le altre mi cancellarono. Le loro famiglie non chiamarono mai a casa, anche solo per dire: “Ci dispiace che Liliana non sia più a scuola con le nostre bambine”. Almeno questo era quello che speravo accadesse.”
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Il respingimento in Svizzera

“Mio padre non sembrava aver affrontato tutto quel viaggio terribile, era in piedi davanti all’ufficiale e parlava con rispetto ma deciso a far capire bene perché avessimo percorso tanti chilometri sulle montagne, come dei fuggiaschi, per raggiungere il confine. Spiegò che eravamo ebrei scappati dall’Italia perché c’erano le leggi razziali ed eravamo perseguitati.
«In Italia rischiamo la morte, signore» concluse mio padre. Ma l’ufficiale non gli credeva. Gli disse che eravamo degli impostori, non credeva neppure che fossimo ebrei! Lo accusò di essersi inventato quella storia degli ebrei perché non voleva prestare il servizio militare. Ci disse che ci avrebbe rimandato indietro. In Italia.”
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“Ma l’ufficiale fu irremovibile. Continuava ad accusare mio padre di aver fatto tutto quel viaggio perché non voleva fare il militare! Poi disse che non era vero che in Italia gli ebrei erano perseguitati. Eravamo dei bugiardi.”
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Giudici e carnefici

“Ad Auschwitz superai la selezione per tre volte. Quando ci chiamavano sapevamo che era per decidere se eravamo ancora utili e potevamo andare avanti, o se eravamo vecchi pezzi irrecuperabili. Da buttare. Era un momento terribile. Bastava un cenno ed eri salvo, un altro ti condannava. Dovevamo metterci in fila, nude, passare davanti a due SS e a un medico nazista. Ci aprivano la bocca, ci esaminavano in ogni angolo del corpo per vedere se potevamo ancora lavorare. Chi era troppo stanca o troppo magra, o ferita, veniva eliminata.”
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“Verso la metà di gennaio del 1945 i nazisti fecero saltare in aria il lager. I russi si avvicinavano e loro dovevano fuggire. Distruggendo il campo di Auschwitz volevano cancellare le prove di quello che era successo lì dentro. Il mondo non doveva sapere. Ma Auschwitz venne distrutto solo in parte, non trovarono il tempo di completare l’opera.
I prigionieri e le prigioniere ancora in grado di reggersi in piedi vennero fatti evacuare in fretta. Cominciò la lunga marcia della morte. In tanti non ce la fecero e morirono durante quella fuga perché se cadevi e non ti rialzavi, ti uccidevano sparandoti in testa.
La marcia durò giorni, e poi settimane. Spesso marciavamo la notte perché i nazisti non volevano far vedere ai civili tedeschi i nostri corpi scheletrici.”

estratto da ” Fino a quando la mia stella brillerà” di Liliana Segre 

 

Liliana Segre parla agli studenti genovesi – 9 ottobre 2018

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