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Associazione Nazionale Partigiani d'Italia
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Forte Castellaccio del Righi (Genova) 1 Febbraio 1945

Il 1945 inizia per i genovese con uno dei gli  inverni più rigidi registrati in quegli ultimi anni! In tali pesanti e difficili condizioni le formazioni partigiane di montagna dovettero subire dei vasti e brutali rastrellamenti da parte dei nazifascisti, che da dicembre erano stati affiancati dalle famigerate truppe “mongole” particolarmente addestrate alla violenza contro le popolazioni civile, donne per prime. I rastrellamenti sono stati effettuati oltre che dalle truppe tedesche, da formazioni delle Brigate nere, della Gnr e dagli alpini della divisione “Monterosa”, ed hanno interessato la gran parte dei paesi e delle frazioni delle vallate genovesi e delle provincie attigue. Dopo i primi sbandamenti, le brigate partigiane hanno risposto con forza ed energia alle soverchianti forze nemiche che avevano messo in campo bel 25.000 uomini ben equipaggiati, addestrati ed armati. Molti partigiani furono uccisi nei tanti combattimenti che si erano tenuti nelle diverse valli liguri, e tanti arrestati furono fucilati nell’eccidio della Squazza e in altri; ma tanti sono stati anche i nazifascisti uccisi, tanto da far emettere dal Comando della divisione Garibaldi “Cichero” un O.d.G. con quale annunciava verso la fine di genaio che: “Finalmente il nemico sta rientrando alle sue basi con lo smacco subito, mentre il pianto delle mamme cui sono state violentate le figlie lo segue come una maledizione. Giusta rappresaglia, 37 mercenari mongoli col loro comandante tedesco, fatti prigionieri, sono stati giudicati dalle popolazioni e passati per le armi sul luogo stesso dei loro delitti. Il Comando rivolge un alto elogio a tutti coloro che hanno combattuto, e in special modo alle Brigate Jori e Oreste,  che con il loro spirito aggressivo hanno dato alla causa questa nuova vittoria”.

In città, la situazione era stata fin dal mese di dicembre del 1944 molto tragica per la Resistenza, a causa dei numerosi arresti effettuati dai nazifascisti di quasi tutti i Comandanti delle Sap e di gran parte del Comitato militare regionale ligure. Senza contare le molte decine di sappisti e di partigiani di montagna scesi in città arrestati e imprigionati, anche grazie alla delazione di informatori e di spie presso i comandi tedeschi. I nazifascisti rafforzati da pattuglie speciali inviate da Milano, a tale scopo, per tutto il mese di gennaio e di febbraio, misero in atto dei continui rastrellamenti, con pattugliamenti in tutti i luoghi pubblici e sui mezzi di trasporto, in tutti i quartieri genovesi, con particolare accanimento in quelli dove la resistenza era più attiva, e nei comuni limitrofi a Genova.  In tale situazione, con lo scopo di acuire il clima di tensione e di paura tra gli antifascisti e la stessa popolazione, i fascisti delle Brigate nere avevano organizzato, tra il 14 e il 16 gennaio, il tragico eccidio del “Panino e della mela” con la fucilazione di tre partigiani a Marassi, due a San fruttuoso, due al Campasso di Sampierdarena e di altri quattro in piazza Baracca a Sestri Ponente. Ai fascisti, comandati dal capo della provincia di Genova Carlo Emanuele Basile, dal questore Arturo Bigoni, dal capo della squadra politica Giusto Veneziani, dai capi delle Brigate nere di diverse caserme della città, della Gnr e dell’ufficio politico della federazione del Pnf, quell’eccidio non era bastato. Volevano incutere nella popolazione genovese maggiore paura e scoramento dando vita ad un altro eccidio di partigiani che erano stati imprigionati nelle settimane precedenti. Per questi motivi il 29 gennaio un Tribunale speciale riunito a Palazzo Ducale ha condannato a morte un gruppo di sei Partigiani.

L’ECCIDIO

All’alba del 1° febbraio 1945 sei partigiani, dopo essere stati prelevati da una squadra di Brigate nere dal carcere di Marassi, dove erano detenuti, , furono trasportati sulle alture di Genova, nella zona del Righi, per essere fucilati. La condanna a morte era stata sentenziata il 29 gennaio da un Tribunale militare straordinario della Rsi che aveva sede nel palazzo Ducale, che oltre ad accusare i prigionieri d’intelligenza col nemico e di appartenenza a formazioni di ribelli, aveva cercato di screditarli, addebitando loro anche una serie di reati comuni. Il reparto delle Brigate nere incaricato dell’esecuzione, sistemati i prigionieri su un camion, si diresse verso la zona del Forte Castellaccio del Righi, che era un’area militare presidiata da bersaglieri e dai “Risoluti “della X Mas interdetta ai civili, che era stata scelta come luogo per l’esecuzione. Giunti sul posto i fascisti scortarono i condannati sul piccolo prato, sotto il vecchio ponte levatoio di via Peralto dove, dopo aver collocarono sei sedie prelevate nella chiesa del vicino convento delle Suore Crocifisse, fecero sedere i condannati fucilandoli alla schiena. L’eccidio così è stato raccontato in seguito dalla signora Ida Folli sul giornale  “Il Quartiere: Quezzi tra Passato e Futuro”: “Quel mattino del 1^ febbraio 1945 una nebbia fitta e densa permetteva di vedere a pochi metri di distanza; erano circa le sei quando venni svegliata da alcuni colpi battuti alla porta di casa. Erano le Brigate Nere che volevano sapere dove fosse l’ingresso del Forte Castellaccio; mi portai sulla strada per indicarglielo e notai che vi erano alcuni automezzi fermi con il motore acceso che invertirono poi il senso di marcia e ridiscesero. Circa un’ora e mezza dopo, come di consueto, mi avviai per la strada che scende al Righi per recarmi al lavoro ma, giunta sull’ultima curva prima del ponte levatoio, venni fermata dalle Brigate Nere e invitata a tornare indietro. Mentre discutevo con costoro per vedere di riuscire a passare e proseguire, le grida di un giovane che invocava la mamma mi fecero ammutolire e trasalire; subito dopo alcune raffiche di mitra soffocarono quelle invocazioni. I colpi isolati che seguirono furono più eloquenti e mi fecero capire cosa stava succedendo. Non contai più il tempo e quando mi fecero proseguire, stavano caricando le casse funebri precedentemente allineate ai margini della strada sui terrapieni dopo il ponte. I soldati del Comando dell’Artiglieria della Repubblica Sociale Italiana, alloggiati nel Convento delle Suore Crocifisse sfollate a Stazzano (AL) , avevano fornito loro le sedie prese in chiesa e servite per i condannati a morte, e adesso le riportavano indietro. La nebbia aveva impedito loro di trovare l’ingresso del Castellaccio e così, con il servizio ausiliario di becchini, i soldati fucilarono i Partigiani sotto il ponte levatoio. Se fossero entrati nel Forte, sedie e becchini li avrebbero forniti molto probabilmente i Risoluti o i Bersaglieri”.

Lo stesso giorno dell’eccidio il quotidiano genovese “Il Lavoro” pubblicò la notizia della condanna a morte e dell’esecuzione dei sei partigiani con la seguente cronaca: “Si è riunito nei giorni scorsi nella nostra città (NdR: il 29.1.1945 a Palazzo Ducale) il Tribunale Militare Straordinario del 210º Comando Regionale Militare per giudicare certi Federico Vinelli, Angelo Gazzo, Pietro Pinetti, Alfredo Formenti, Luigi Riva, Pietro Silvestri, Salvatore Rizzo e Michele Grossi, imputati di intelligenza con il nemico (…). Il Tribunale Militare Straordinario ha svolto il dibattito producendo schiaccianti prove contro gli accusati, presenti in stato di detenzione. Sono stati sentiti numerosi testi. Il Pubblico Ministero ha chiesto la pena di morte per tutti gli imputati. (…). Dopo la difesa, il Tribunale ha emesso la sentenza condannando alla pena di morte con fucilazione nella schiena il Vinelli, il Gazzo, il Pinetti, il Formenti, il Riva, e il Silvestri. Per gli imputati Grossi e Rizza il Tribunale si è dichiarato incompetente a giudicare (…). I condannati a morte sono stati giustiziati all’alba di stamani”.

I patrioti fucilati erano:

Sabatino Di Nello “Pietro Silvestri”, nato a Pacentro (AQ) 22/02/1915. Al momento dell’armistizio faceva il servizio militare  nella Rsi, e vi rimase fino al febbraio 1944 quando decide di disertare e di aggregarsi ad una formazione partigiana chiamata la “Volante rossa”, che era dislocata nella zona di Molare (AL). In seguito, col nome partigiano di Pietro Silvestri, Di Nello si aggrega alla Brigata di manovra “Bonaria”, comandata da Mingo (Domenico Lanza), che era inquadrata nella divisione Ligure-Alessandrina.Col ruolo di  comandante di distaccamento partecipa tra il 7 e il 10 ottobre alla dura battaglia di Olbicella di Molare contro i nazifascisti dove 23 partigiani furono uccisi in combattimento, tra i quali il comandante Mingo, il cui nome da novembre sarà dato alla nuova divisione. Di Nello è  stato arrestato a Molare nel corso di quel rastrellamento, e rinchiuso nel carcere di Marassi. “Pietro Silvestri”, dopo la lettura della sentenza, dichiarò ai membri del Tribunale speciale che il suo vero nome era Di Nello Sabatino e che con il suo vero nome voleva affrontare la morte.

Alfredo Formenti “Brodo”, nato a Voghera il 09/02/1897. Perseguitato politico durante il regime fascista, militante comunista, membro del Soccorso Rosso, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 diventa partigiano del Comando militare ligure e capo settore delle formazioni partigiane di Genova-Sampierdarena. Inquadrato nella 292ª Brigata Garibaldi Sap “Buranello”, dislocata nella zona di Sampierdarena, è stato arrestato dai militi delle Brigate nere il 17 gennaio alle ore 18 presso il bar Squillari di piazza Vittorio Veneto a Sampierdarena.

• Angelo Gazzo “Falco”, nato a Mignanego (GE) l’01/02/ 1901. Portuale, partigiano dall’ottobre 1944 della 832ª Brigata Garibaldi Sap “E. Casalini”, dislocata nella zona di Serra Riccò-Mignanego, è stato arrestato il 1° gennaio 1945.

• Pietro Pinetti “Boris”, nato a Genova il 03/12/1924. Operaio meccanico dell’Ansaldo di Sampierdarena, dopo l’armistizio dell’08/09/194 rifiuta di aderire alla chiamata alle armi della Rsi e decide di partecipare alla lotta contro i nazifascisti con la Resistenza della Val Bisagno. Nel maggio del 1944, su designazione del Triumvirato del Pci, è nominato responsabile degli Istruttori militari per la zona di Genova, e in particolar modo per il quartiere di San Fruttuoso. Nell’agosto 1944 è vicecomandante della 175ª Brigata Sap “R. Guglielmetti”, diventando uno dei maggiori protagonisti della Brigata nella lotta contro i nazifascisti. Arrestato in via Bobbio, a causa di una spia, l’11 gennaio 1945 da militi della X Mas, viene interrogato nella Casa dello studente e poi rinchiuso nel carcere di Marassi. Nel dopoguerra è stato insignito di Medaglia d’Argento al V.M. alla memoria.

Luigi Achille Riva “Foce”, nato a Genova il 30/08/1921. Reduce dalla guerra di Russia, dopo l’armistizio fa il servizio militare nel 59° reggimento Fanteria a Genova. Dal giugno 1944 sceglie di partecipare alla lotta contro i nazifascisti e si aggrega alla 3ª brigata “G. Jori” della divisione Garibaldi “Cichero”. Nel dicembre 1944 è inviato in missione a San Fruttuoso, e gli viene assegnato il ruolo di vicecomandante di Distaccamento della Brigata Garibaldi Sap “Mirolli”. È stato arrestato nella notte del 10 gennaio 1945 nel suo domicilio clandestino nella zona di S. Fruttuoso da militi della X Mas.

Federico Vinelli “Ala o Seri”, nato a Genova l’11/09/1921. Dopo l’armistizio non risponde alla chiamata alle armi della Rsi e, dal luglio 1944, raggiunge le formazioni partigiane di montagna aggregandosi alla 98ª brigata d’assalto “Martiri di Alessandria” dell’8ª divisione Garibaldi “Asti”. In seguito è nominato comandante di distaccamento della brigata “Bonaria”, con la quale partecipa alla battaglia dal 7 al 10 ottobre alla battaglia di Olbicella. Nell’inverno 1944, dispersa la sua formazione dopo il feroce rastrellamento nazifascista, ritorna a Genova e la notte del 23 gennaio 1945 è arrestato dalla Polizia fascista.

Sul posto delle esecuzioni, in via Peralto (Righi), è stato eretto  un piccolo sacrario dove una targa murale, eretta dall’Anpi nel 1978i, ricorda i nomi dei Partigiani fucilati l’1.2.1945; mentre sul pilone del ponte levatoio, nel decennale della resistenza 3/7/1955”, è stata apposta una lapide checosì ricorda quei Martiri: “In questo fossato, l’alba del 1° febbraio 1945 trucidati da mercenari dell’invasore nazista trovarono morte gloriosa per la Libertà i Partigiani:  Di Nello Sabatino 1914, Formenti Alfredo 1897, Gazzo Angelo 1901, Pinetti Pietro 1921, Riva Luigi 1921, Vinelli Federico 1921”.

Dentro le mura del forte del Castellaccio sono stati fucilati dalle Brigate nere gli altri patrioti:

– Il 18 gennaio 1945 il professore di filosofia Corradino Nuzzi, nato a Campobasso il 20/03/1906. Dopo l’armistizio aderisce al Comitato comunista di Quezzi per il quale assume il compito di responsabile di una tipografia clandestina in via Finocchiara. Nuzzi, che faceva parte della Brigata Garibaldi Sap “Mirolli-Pinetti”, è arrestato dalle Brigate nere e condannato dal Tribunale militare straordinario con l’accusa di avere fornito informazioni alle squadre partigiane.

– Il 12 marzo 1945 Gian Domenico Diambri “Nanni”, nato a Bogliasco (GE) nel 1920, appartenente dall’ottobre 1944 alla brigata Sap “A. Sciolla”, che era dislocata nella zona tra Sturla e Quinto. Arrestato dai militi della Guardia nazionale repubblicana della caserma di via S. Nazaro, è  condannato dal Tribunale militare straordinario con l’accusa di aver ucciso un capitano della Gnr, di appartenere a bande armate, di renitenza alla leva, di spionaggio militare e di detenzione e porto abusivo di armi.

Nella lapide inferiore del pilone del ponte levatoio una lapida ricorda che: “Entro le mura di questo forte caddero fucilati dai fascisti i Partigiani: Corradino Nuzzi da Campobasso 1906-18/1/1945; Giovanni Domenico Diambri da Bogliasco 1929-12/3/1945. A cura dell’ANPI di Genova”.

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