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Se l’antifascismo lo pensiamo a misura di bambino o di bambina

Incontrando tanti ragazzi e ragazze, tra scuole, centri di educativa territoriale e assemblee organizzate; un po’ con l’ANPI, un po’ per lavoro; ho realizzato una cosa che credo sia importante e che mi ha convinto che questo sarebbe stato un fantastico 25 aprile.

Ci sono alcune persone che pensano al 25 aprile come un rito retorico incagliato tra passato e presente e ci sono persone, come i ragazzi e le ragazze che ho incontrato; complice anche un percorso scolastico che privilegia il passato remoto rispetto a quello recente, che pensano al 25 aprile come un contenitore di valori, più che di Storia, che guarda al futuro.

Credo che siano due le caratteristiche prevalenti di questa Nuova Stagione la quale, se lavoriamo tutti insieme, forse ci libererà sia della trita retorica legata al culto del passato, sia dalle nuove derive sub-fasciste.

La prima componente è indubbiamente la comunità educante. Una collettività fatta da genitori, insegnanti, dirigenti scolastici, educatori, educatrici, volontari e volontarie con una sensibilità valoriale nella media che però spicca in mezzo alla sensibilità ridotta ostentata in e da social media e mezzi di informazione vari.

C’è da dire che la maggior parte delle persone che fanno parte di questa comunità, nonostante il tiro a segno quotidiano (“la scuola non funziona”, “ci vorrebbe il militare”, “gioventù bruciata” e chi più ne ha più ne metta) spende tempo ed energie, spesso a titolo gratuito (come nel caso di educatori, educatrici e insegnanti), per creare momenti educativi “extracurricolari” con l’ANPI, presso la Casa dello Studente oppure mettendo in scena rappresentazioni teatrali sulla Memoria o, semplicemente, portando i propri figli le proprie figlie o studenti e studentesse in biblioteca per leggere e conoscere la Storia del nostro paese.

E a tutte queste persone credo si debba riconoscere un ruolo di riferimento all’interno della nostra comunità; un ruolo di sovente messo in discussione impropriamente; poiché hanno raccolto i testimoni dell’antifascismo, della partecipazione e della civiltà democratica, troppo spesso accantonati all’insegna delle proverbiali parole: “i problemi sono ben altri”.

Il secondo aspetto, connaturato a questioni generazionali e di provenienza è che, purtroppo o per fortuna, i ragazzi che oggi spaziano tra i 10 e i 25 anni non sempre hanno dei riferimenti generazionali a cui rifarsi. E questo fatto rende molto difficile se non impossibile utilizzare quella narrazione, anche valoriale, che si rifà ad avvenimenti e riferimenti storici caratteristici del nostro territorio.

Senza voler aprire riflessioni sull’importanza delle fabbriche nella storia della nostra città; per i ragazzi che oggi frequentano le scuole elementari e medie, luoghi come la storica ANSALDO sono spesso semplicemente fabbriche, prive di quel bagaglio emotivo, familiare e storico invece radicato nelle generazioni più mature dei genovesi.

Ma se è difficile (e difficile non significa certo impossibile) parlare di storia con ragazzi, ragazze, bambini e bambine che vengono da posti diversi o che hanno storie familiari differenti da quelle che siamo abituati a sentire nelle orazioni delle personalità di spicco dell’antifascismo; è più facile parlare di valori e sensibilizzare aspetti dell’antifascismo che forse sono state a lungo date per scontate.

Oggi abbiamo la straordinaria e non comune possibilità di attualizzarci. Possiamo analizzare e combattere, insieme a questi ragazzi e a queste ragazze, tutti gli aspetti specifici del fascismo come il razzismo, la discriminazione di genere, il bullismo (non solo quello scolastico), la mancanza di rispetto nel dialogo (non solo quello politico) e tutte le altre componenti delle quali la somma siamo abituati a pensarla in camicia nera e saluti romani.

Certo, è un lavoraccio. Ripensare l’antifascismo “a misura di bambino” (ma anche a misura di adolescente) scompiglia le rassicurazioni dei decenni passati e tutti coloro che si sono sempre appoggiati alle parole dense di storia e valori tipiche del secondo dopo guerra si sentiranno in grande difficoltà. Ma mettersi in gioco abbandonando la supponenza, accantonando il muro contro muro generazionale a favore di un nuovo modo di dialogare è la sfida, anche in termini di integrazione, che tutti dobbiamo accettare.

E trasmettere nel tempo i valori dell’antifascismo, della democrazia e della partecipazione è un dovere ineludibile di ogni cittadino; anche se significa accantonare (forse temporaneamente, forse no) decenni di rassicuranti parole d’ordine, preconcetti e giudizi a priori.

Il segretario della sezione ANPI di Sestri Ponente
Andrea Viari

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